Giuro che questi saranno gli ultimi, così come recita il titolo.
Saranno le ultime due deviazioni dal genere in un anno in cui è mancata la forza per leggere, per vivere, per fare qualsiasi altra cosa che non fosse pensare ed arrovellarsi senza requie.
Questi tipi di libri mi hanno accompagnata nel turbinio dei pensieri degli ultimi 11 mesi e, ora che non c'è quasi più energia nemmeno per quello, ho deciso di fare una pausa dalla lettura... e di conseguenza dal blog.
Come sempre, anche nel caso di quest'ultima recensione, non sono capace di recensire davvero questi libri ma solo di farli parlare per me.
Partendo dai titoli, perché quelli di questi due sono davvero pazzeschi:
"Se non ti vedo non esisti" --- io ho delle espressioni mantra, che spesso mi vengono rinfacciate da chi mi sta attorno, forse perché li ammorbo ripetendole troppo spesso, forse per una certa attitudine da maestrina con cui le recito o le dispenso come consigli non richiesti... non le starò a citare ma mi addolora quando gli altri ne sono infastiditi e me le risbattono in faccia come stracci bagnati. Non capiscono che quelle frasi, come tutto nella vita, sono dette per se stessi. Tra questi mantra per tanto tempo, mesi, è rientrato anche il titolo di questo libro. Quanta verità può essere contenuta in 6 parole?
"Adesso" --- adesso era un concetto molto particolare quando ho comprato questo libro dallo scaffale di un aeroporto. Era un adesso fatto prevalentemente di ieri e di tantissima paura del domani. Ma quell'adesso era un adesso giusto, confermato da altri segni, anche quelli -come i mantra - diventati ormai parte della nuova me.
Ci ho messo tanto per leggere entrambi i libri, sono stati più volte abbandonati a loro stessi, lasciati impolverare nel cassetto del comodino. Ma di entrambi, ho conservato le immagini che ora proverò a trasporre qui.
Stavolta non voglio creare una storia nella storia, abbiamo già visto che l'esperimento è fallito perché ogni storia è diversa e di nessuna si può indovinare il prosieguo.
Stavolta, per l'ultima volta, vorrei creare un diario, un giornale per ripercorrere delle emozioni in ordine cronologico senza date e senza nomi, mischiando talmente tanto le parole da non riuscire più a ricondurle a un libro, all'altro, o forse a nessuno.
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Salii le scale tutto d'un fiato, entrai e mi chiusi in bagno. Che aspetto ridicolo avevo. Tra le mura di casa, in mezzo ai miei oggetti mischiati a quelli di mio marito, in mezzo a quelli comprati insieme, avevo un aspetto orrendo.
Allo specchio vidi una donna triste e sola, senza nessun equilibrio, in caduta libera, che in lontananza non trovava alcun punto di arrivo.
Avevo attraversato l'orizzonte degli eventi, oltrepassato il quale non si torna più indietro? Sì. Avevo scandito il mio presente, ormai passato, con delle scelte disoneste. Avevo scelto di essere scorretta, perché quell'amore che sentivo, quel trasporto da mancamenti, da giri di testa, brividi, vuoti allo stomaco, era una macchia indelebile sul mio candido vestito da sposa.
Quell'amore era nato quando non doveva, dove non doveva. Fuori tempo. Fuori luogo. Il suo tempismo nell'arrivare nella mia vita era sbagliato, perché non c'era spazio per lui e per quella relazione. O forse sì, forse era riuscito a farsi spazio tra le mie stanze perché aveva trovato aperta la porta di servizio, la stessa dalla quale era uscito mio marito per lasciarmi riflettere, per poter riflettere per lui.
Mio marito si era dimenticato di chiuderla a chiave, e adesso eccomi lì, a non saper allontanare quell'uomo che adesso bussava con insistenza.
Ma no, certo non era colpa di mio marito se io non avevo la forza di rimanere ferma davanti ai miei doveri di moglie, di amica, di persona. Davanti al,lo specchio mi condannai, mi giudicai, mi rimproverai. E mi promisi che no, quell'uomo non l'avrei rivisto mai più.
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Ma era tutto nella mia testa. Nella realtà le cose rotolavano come in una valanga irrefrenabile che avrebbe fatto morti e feriti.
A lungo stetti in silenzio, negando persino a me stessa quanto buio sarebbe stato il luogo in cui mi stava portando la strada che stavo percorrendo.
Ogni volta che mio marito tornava a casa, dopo i suoi viaggi di lavoro o i brevi soggiorni a Firenze, trovava una donna diversa. Perdevo parti di me, della ragazza che aveva sposato, per diventare sempre meno sua, sempre più estranea. Per non essere. Avrei voluto cambiare pelle, avrei tinto e tagliato i capelli, buttato i miei vecchi vestiti, pur di non riconoscermi allo specchio. Pur di non farmi riconoscere.
Che dolore gigante gli stavo regalando, solo perché non riuscivo a reggere il peso della mia disonestà - e nemmeno quello della responsabilità, che avrebbe dovuto spingermi a raccontargli ogni cosa della mia nuova vita. Ma era davvero quella, la mia nuova vita? No, era solo un'altra vita , un'altra me, un'altra proposizione con altre subordinate.
Trasformai i miei sensi di colpa in rabbia, l'esaurirsi del mio amore per mio marito divenne una sua mancanza, vidi in mio marito il limite della mia felicità, la gabbia, la fine del mondo alla quale volevo sopravvivere, a tutti i costi.
Cademmo in un vortice di non comunicazione e di incomprensione in cui a mio marito mancava il tassello fondamentale, il terzo incomodo che c'era tra di noi. Per questo ogni mio stato di ansia, di agitazione, di apatia, di insofferenza, tutte le cose più brutte del mondo che una donna può provare in casi di cecità emotiva, veniva interpretato da mio marito con la lettura più semplice possibile: "Lo capisco, hai bisogno dei tuoi spazi e di realizzarti appieno, anche con il lavoro".
La sua disponibilità a capirmi, la sua umanità, la sua tolleranza, la grandissima sopportazione davanti ai miei atteggiamenti di chiusura mi fecero capire tre cose importanti:
- mio marito era una persona speciale
- io ero una stronza
- non mancava amore tra me e lui. L'amore mancava solo a me.
A lungo non riuscii a immaginarmi senza l'uomo splendido che avevo sposato. Nonostante viversi fosse diventato difficile, nonostante tentassimo di stare il più lontano possibile, dividendoci ogni qualvolta ne avevamo la possibilità, l'idea di separarci mi faceva male quanto un taglio a carne viva in mezzo al petto.
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Eravamo onesti in quella bugia, avvinghiati l'uno all'altra in un desiderio d'amore puro, colpevoli per aver sognato la leggerezza della felicità, una leggerezza di cui prima di incontrarci non ricordavamo la sensazione... quella stessa leggerezza che si trasformava in un macigno legato alle caviglie ogni volta che tornavo a casa e non sapevo più volare.
Totalmente scissa tra mio marito e l'altro uomo, mentre con un braccio mi aggrappavo al primo e con l'altro afferravo il secondo, sapevo che il risultato sarebbe stato uno strappo irreparabile che mi avrebbe ridotta in brandelli.
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Io ti dimentico, ti dimentico quanto è vero Dio. Ti dimentico perché so che non siamo stati reali nemmeno per un istante, ma eravamo frutto della mia fervida immaginazione, ti ho creato dentro di me nella forma che serviva a completare il puzzle delle mie mancanze. E non mi mancherai, non mi mancherà non capire nulla di te, non mi mancheranno le tue frasi vaghe, le tue stanze torbide, la tua vita felice dalla quale fuggi per cercare il brivido della novità, non mi mancherà vederti mangiare le polpette vegetariane, fumare l'erba ma sgridarmi perché fumo le sigarette, bere vino rosso sempre e non ubriacarti mai, che alla fine quella sbronza ero io, e non per l'alcol. Non mi mancherà il tuo sguardo spudorato e tutte le volte che, dopo avermi regalato una certezza chiudevi le frasi con "forse". Il nulla non può mancarmi, e quello che mi resta di noi è una somma di niente che come risultato ha sempre zero.
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Conoscevo la strada per la felicità, avrei saputo arrivarci a occhi chiusi, ma il problema vero era scegliere cosa potesse realmente farmi felice. Non lo sapevo più. Ebbi la sensazione che la mia amica mi stessa guardando dall'alto di un labirinto nel quale ero finita e mi stesse suggerendo la via d'uscita dicendomi semplicemente "È di là". Di là dove? Non sapevo decidermi, ecco la verità. Avrei dovuto rinunciare a qualcosa, e io nella rinuncia non vedevo mai la grande prova di forza di chi sceglie. Io nella rinuncia vedevo soltanto una gigantesca sconfitta.
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Quando l'universo non sa cosa desideri, l'universo non può aiutarti.
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Il dolore è un'esperienza eccezionale che ci costringe a faccia a faccia con la nostra identità più profonda? No, dottoressa, il dolore è una cosa normale. E ci serve per andare avanti.
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Problemi familiari, influenza, lutto: sulle giustificazioni per saltare un giorno di scuola, sui cartelli appesi alla saracinesche abbassate non appare mai scritto INNAMORAMENTO. Professore, mi si muove una pallina nella pancia. Professoressa, ho conosciuto Mario ho conosciuto Maria, e mi è sembrato il primo Mario, la prima Maria: ieri non ce l'ho fatta a studiare latino. Vogliate scusarmi, ma oggi la farmacia resta chiusa, oggi non apro il ristorante: è che ho conosciuto Maria. Voleva che l'accompagnassi al mare e poi a ballare, capite? E io proprio non potevo rispondere di no.
È così che dovrebbe funzionare, è così che dovremmo essere tutti educati, tutti autorizzati a fare fin da bambini: e non per andare dietro a ogni emozione che ci attraversa. Ma proprio perché, fermandone una, ci potremmo occupare solo di quella, la prenderemmo sul serio, come ci raccomandano di prendere prima la scuola, poi il lavoro, e impediremmo a tutte le altre emozioni di assalirci, di fare confusione, destinarci all'Arca senza Noè e a un'eterna tempesta.
Mamma, oggi non vado a nuoto perché rimango a letto a pensare a quel bambino che balbetta; papà, oggi non vado a scuola perché voglio disegnare quella bambina con la treccia seduta nel banco davanti al mio.
È così che dovremmo crescere, per essere un po' più addestrati a non perdere chi, nel tutto uguale, fa la differenza.
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Lascia scivolare la forchetta nel piatto. Non è un gesto aggressivo, ma per uno mite come lui significa qualcosa. Significa: perché? Perché è da un mese che, quando ti cerco il viso, tu lo abbassi o lo alzi, perché cadi in pensieri che non devono avere niente a che fare con noi, se ti ammalano lo sguardo sempre vivo che hai e ti fanno spingere la fronte con le dita, proprio come stai facendo adesso? Dove vai, quando cadi? Dove cadi?
- Che c'è? - ripeté.
- Non lo so che c'è, ma continuo a farmi delle domande sulla nostra storia.
- E perché?
- Le domande arrivano per conto loro, mica c'è un perché.
- Mi sembra vada tutto talmente bene, tra di noi.
- Certo, che va bene. Certo.
- E allora?
Lei apre gli occhi e scopre che quelli di lui, adesso, sono allarmati.
Sembrano quelli di un bambino. O meglio, sembrano quelli che aveva lei quando stava con suo marito e lui non poteva trattenersi dal torturarla con i suoi dubbi, con i suoi ricatti, con il vagheggiamento della vita migliore che avrebbe potuto fare se non l'avesse mai incontrata. Si comporta così perché vuole sfidarti, essere innamorato di te lo fa sentire indifeso e ha bisogno di attaccare: le aveva spiegato la psicologa, a suo tempo. E lei si domanda se adesso, forse, non sia arrivato il suo turno di comportarsi come suo marito e di sfidare l'altro, perché essere innamorata di lui la fa sentire indifesa.
- Perdonami. Lo so che in questo periodo sono insopportabile.
- Non ti devi scusare di niente. Vorrei solo che mi rendessi partecipe. Sei proprio tu che, ogni giorno, mi insegni che a condividere qualcosa non la si perde, ma anzi la sia guadagna. Il vecchio me non ti avrebbe mai chiesto spiegazioni, tantomeno di un tuo turbamento.
- Sì, ma io sono brava coi turbamenti degli altri. A condividere i miei faccio più fatica.
- Non abbiamo fretta, ci aspettano due settimane solo per noi.
Le accarezza le mani e le braccia.
- Il punto è che ho paura.
Lui continua a guardarla con quegli occhi che lei conosce così bene. Non vuole farlo soffrire, pensa. Non voglio sfiancare il suo amore per me come mio marito ha sfiancato il mio per lui: e perché? Perché aveva paura, e così mi ha persa.
- Ma non voglio perderti, ecco sì. Ho paura ma non voglio perderti.
I suoi occhi tornano alla loro tenerezza profonda.
- E perché dovresti perdermi proprio ora che ci siamo trovati?
- E perché tu sei tanto sicuro invece? Ti ricordi le ansie che ti erano prese dopo la prima volta che abbiamo fatto l'amore? Sei sparito per due mesi...
- Quando ci ripenso lo trovo buffo, tu no? Ero convinto che una presentatrice televisiva non se ne facesse niente di un povero disgraziato come me, ti immaginavo preda di un'esistenza rutilante, mi sembrava inverosimile anche solo che tu ti ricordassi di aver trascorso un pomeriggio focoso con un preside che...
- Non mi riferisco a cazzate come queste!
- Aiutami a capire, perché davvero non capisco.
- E certo, certo che non capisci - Nemmeno gli occhi di lui, che sono stati anche quelli di lei, hanno il potere di fermare quello che di nero e però chiarissimo le sta montando dentro - Perché tu preferisci rimuovere le difficoltà. È una vita che vai avanti in questo modo.
- Di sicuro in passato mi sono comportato così, è vero. Ma al momento, francamente, non vedo quali difficoltà possano esserci fra di noi. Forse, più che della mia ignavia, è della tua impossibilità di godere della pace che dovremmo parlare. Del bisogno che evidentemente hai di un nemico che in me non puoi trovare. E che dunque ti inventi.
- Davvero? Davvero secondo te me la invento la fatica che faranno ad accettare la nostra relazione? E mi invento il fatto che mi sembra impossibile, impossibile, dare alla mia separazione il suo sviluppo naturale e passare al divorzio, perché significherebbe divorziare anche dalla mia parte bambina che non posso, e forse neanche voglio, nonostante a quasi quarant'anni sia penoso, abbandonare del tutto? Me la invento questa smania assassina di fuggire sempre, sempre, non importa di preciso dove, l'importante è che sia lontano, lontanissimo da chi mi è vicino? Mi invento anche il rischio che prima o poi la smania torni e si prenda tutto senza darmi in cambio niente, perché è fatta così? Mi invento l'apatia con cui reagiresti a tutto questo, perché sei fatto così, e preferisci chiudere subito con una persona piuttosto che aprire un confronto? Me li invento tutti i motivi per cui tu, io e di conseguenza noi siamo fragili, e forse stiamo solo correndo il rischio di infliggerci un nuovo dolore che stavolta sarebbe davvero irreparabile, perché quando ci siamo incontrati eravamo già due reduci?
Lui aspetta che finisca, poi le dà un bacio lieve sulla guancia ed entra in casa. Lei rimane sul patio da sola, si accuccia sui gradini, si stringe le ginocchia al petto e comincia a piangere. Piano, perché non la senta nessuno. I grilli, le agavi, i pini, la notte, lui.
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- È strano no? Per certi versi lo spazio dell'intimità, dentro di noi, si restringe man mano che cresciamo: è sempre più difficile che ci si infili davvero qualcuno. Ma nello stesso tempo, man mano che cresciamo, forse dobbiamo abbandonare il sogno che quello spazio possa essere riempito da un'unica persona.
- È così.
- Quindi stare insieme a una persona, adesso, che cosa significa, se non significa più avere un solo posto da considerare casa?
- Forse, significa proprio avere come presupposto la nostra complessità e quella dell'altra persona. E tentare di rispettarle.
- Che confusione però, no?
- Io negli ultimi mesi provo a ragionare in termini di ricchezza anziché di confusione. Abbiamo due vite ricche, di sbagli e di ferite, certo. Ma anche di legami che a quegli sbagli e quelle ferite sono sopravvissuti. Sarebbe artificioso e quindi inutile liberarci di quei legami. Lo sforzo è quello di tenere tutto insieme.
- Però è uno sforzo: vedi che lo ammetti anche tu? Quelli che ce la fanno al primo giro, che invecchiamo con la sola persona che un giorno, sempre più lontano, gli ha mosso una pallina all'altezza della pancia, non devono fare nessuna fatica. Sono dei paraculi, perché hanno al fianco e dentro di loro, come fosse una bussola, un uomo, una donna: sempre quello, sempre quella. I figli che magari sono venuti. Un solo posto da considerare casa, appunto.
- E lo sforzo di farsela bastare sempre e comunque l'esistenza con quella persona? Dove lo metti. Io, più che dei paraculi, quelli che ce la fanno al primo giro, se i compromessi che accettano non sono eccessivi, li considero da Premio Nobel per la Pace.
- Paraculi o Premi Nobel che siano, pensa che avventura l'esistenza - in generale intendo - a farsela bastare.
- Ci siamo provando anche noi...
- Forse hai ragione, e infatti... perché ridi?
- Perché negli ultimi mesi, da quando ti conosco, mi sono occupato di dinamiche e alchimie umane più che in tutti i miei 45 anni.
- Figurati che io non mi sono mai occupata di altro.
- E infatti cucini malissimo.
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- Che c'è? - ripeté.
- Non lo so che c'è, ma continuo a farmi delle domande sulla nostra storia.
- E perché?
- Le domande arrivano per conto loro, mica c'è un perché.
- Mi sembra vada tutto talmente bene, tra di noi.
- Certo, che va bene. Certo.
- E allora?
Lei apre gli occhi e scopre che quelli di lui, adesso, sono allarmati.
Sembrano quelli di un bambino. O meglio, sembrano quelli che aveva lei quando stava con suo marito e lui non poteva trattenersi dal torturarla con i suoi dubbi, con i suoi ricatti, con il vagheggiamento della vita migliore che avrebbe potuto fare se non l'avesse mai incontrata. Si comporta così perché vuole sfidarti, essere innamorato di te lo fa sentire indifeso e ha bisogno di attaccare: le aveva spiegato la psicologa, a suo tempo. E lei si domanda se adesso, forse, non sia arrivato il suo turno di comportarsi come suo marito e di sfidare l'altro, perché essere innamorata di lui la fa sentire indifesa.
- Perdonami. Lo so che in questo periodo sono insopportabile.
- Non ti devi scusare di niente. Vorrei solo che mi rendessi partecipe. Sei proprio tu che, ogni giorno, mi insegni che a condividere qualcosa non la si perde, ma anzi la sia guadagna. Il vecchio me non ti avrebbe mai chiesto spiegazioni, tantomeno di un tuo turbamento.
- Sì, ma io sono brava coi turbamenti degli altri. A condividere i miei faccio più fatica.
- Non abbiamo fretta, ci aspettano due settimane solo per noi.
Le accarezza le mani e le braccia.
- Il punto è che ho paura.
Lui continua a guardarla con quegli occhi che lei conosce così bene. Non vuole farlo soffrire, pensa. Non voglio sfiancare il suo amore per me come mio marito ha sfiancato il mio per lui: e perché? Perché aveva paura, e così mi ha persa.
- Ma non voglio perderti, ecco sì. Ho paura ma non voglio perderti.
I suoi occhi tornano alla loro tenerezza profonda.
- E perché dovresti perdermi proprio ora che ci siamo trovati?
- E perché tu sei tanto sicuro invece? Ti ricordi le ansie che ti erano prese dopo la prima volta che abbiamo fatto l'amore? Sei sparito per due mesi...
- Quando ci ripenso lo trovo buffo, tu no? Ero convinto che una presentatrice televisiva non se ne facesse niente di un povero disgraziato come me, ti immaginavo preda di un'esistenza rutilante, mi sembrava inverosimile anche solo che tu ti ricordassi di aver trascorso un pomeriggio focoso con un preside che...
- Non mi riferisco a cazzate come queste!
- Aiutami a capire, perché davvero non capisco.
- E certo, certo che non capisci - Nemmeno gli occhi di lui, che sono stati anche quelli di lei, hanno il potere di fermare quello che di nero e però chiarissimo le sta montando dentro - Perché tu preferisci rimuovere le difficoltà. È una vita che vai avanti in questo modo.
- Di sicuro in passato mi sono comportato così, è vero. Ma al momento, francamente, non vedo quali difficoltà possano esserci fra di noi. Forse, più che della mia ignavia, è della tua impossibilità di godere della pace che dovremmo parlare. Del bisogno che evidentemente hai di un nemico che in me non puoi trovare. E che dunque ti inventi.
- Davvero? Davvero secondo te me la invento la fatica che faranno ad accettare la nostra relazione? E mi invento il fatto che mi sembra impossibile, impossibile, dare alla mia separazione il suo sviluppo naturale e passare al divorzio, perché significherebbe divorziare anche dalla mia parte bambina che non posso, e forse neanche voglio, nonostante a quasi quarant'anni sia penoso, abbandonare del tutto? Me la invento questa smania assassina di fuggire sempre, sempre, non importa di preciso dove, l'importante è che sia lontano, lontanissimo da chi mi è vicino? Mi invento anche il rischio che prima o poi la smania torni e si prenda tutto senza darmi in cambio niente, perché è fatta così? Mi invento l'apatia con cui reagiresti a tutto questo, perché sei fatto così, e preferisci chiudere subito con una persona piuttosto che aprire un confronto? Me li invento tutti i motivi per cui tu, io e di conseguenza noi siamo fragili, e forse stiamo solo correndo il rischio di infliggerci un nuovo dolore che stavolta sarebbe davvero irreparabile, perché quando ci siamo incontrati eravamo già due reduci?
Lui aspetta che finisca, poi le dà un bacio lieve sulla guancia ed entra in casa. Lei rimane sul patio da sola, si accuccia sui gradini, si stringe le ginocchia al petto e comincia a piangere. Piano, perché non la senta nessuno. I grilli, le agavi, i pini, la notte, lui.
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- È strano no? Per certi versi lo spazio dell'intimità, dentro di noi, si restringe man mano che cresciamo: è sempre più difficile che ci si infili davvero qualcuno. Ma nello stesso tempo, man mano che cresciamo, forse dobbiamo abbandonare il sogno che quello spazio possa essere riempito da un'unica persona.
- È così.
- Quindi stare insieme a una persona, adesso, che cosa significa, se non significa più avere un solo posto da considerare casa?
- Forse, significa proprio avere come presupposto la nostra complessità e quella dell'altra persona. E tentare di rispettarle.
- Che confusione però, no?
- Io negli ultimi mesi provo a ragionare in termini di ricchezza anziché di confusione. Abbiamo due vite ricche, di sbagli e di ferite, certo. Ma anche di legami che a quegli sbagli e quelle ferite sono sopravvissuti. Sarebbe artificioso e quindi inutile liberarci di quei legami. Lo sforzo è quello di tenere tutto insieme.
- Però è uno sforzo: vedi che lo ammetti anche tu? Quelli che ce la fanno al primo giro, che invecchiamo con la sola persona che un giorno, sempre più lontano, gli ha mosso una pallina all'altezza della pancia, non devono fare nessuna fatica. Sono dei paraculi, perché hanno al fianco e dentro di loro, come fosse una bussola, un uomo, una donna: sempre quello, sempre quella. I figli che magari sono venuti. Un solo posto da considerare casa, appunto.
- E lo sforzo di farsela bastare sempre e comunque l'esistenza con quella persona? Dove lo metti. Io, più che dei paraculi, quelli che ce la fanno al primo giro, se i compromessi che accettano non sono eccessivi, li considero da Premio Nobel per la Pace.
- Paraculi o Premi Nobel che siano, pensa che avventura l'esistenza - in generale intendo - a farsela bastare.
- Ci siamo provando anche noi...
- Forse hai ragione, e infatti... perché ridi?
- Perché negli ultimi mesi, da quando ti conosco, mi sono occupato di dinamiche e alchimie umane più che in tutti i miei 45 anni.
- Figurati che io non mi sono mai occupata di altro.
- E infatti cucini malissimo.
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- Pensa a quanto deve essere impegnativo per un uomo venire a capo del tuo perverso mix tra bisogno d'indipendenza e bisogno di attenzione - la incalza il suo amico.
- Amarsi è senz'altro un'impresa, ma continuare a incrociare persone senza che mai nessuna, dico nessuna, si incastri per davvero nella tua vita è una condanna, è un'allucinazione: te lo ricordi o no? - la sua amica sospira - Riconosci quanto è raro che, proprio mentre ti incastravi nella sua vita, anche lui si incastrava nella tua?
- E dove la metti la pazienza di sopportare i tuoi estenuanti cambi di umore?
- Per non parlare del vizio di usare la verità come una clava credendo che agli altri arrivi come un bacio in fronte?
- E la tentazione che hai di psicanalizzare pure questa feta grigliata?
- La tua perenne e irritante insoddisfazione?
- E il tuo ex poi? È socialmente inaccettabile che tu non riesca a divorziare dal tuo ex marito e continui a mantenere con lui un rapporto tanto privilegiato...
- Che vi è preso? Perché infierite tutti contro di me?
- Non vogliamo infierire - dice la sua amica facendosi portavoce di tutti - è solo che lui sarà pure un uomo difficile. Ma proprio per questo se ne frega di quanto è socialmente inaccettabile e non ti richiamerà mai a nessun ordine prestabilito.
- Magari invece avrei bisogno proprio di qualcuno diverso da me, qualcuno che mi richiamasse a quell'ordine che dentro, da sola, non riesco a fare e che...
- Tu? Tu vorresti essere richiamata a un ordine prestabilito? Per poi fare cosa? Deludere inevitabilmente il disgraziato che te lo ha proposto e che non ti perdonerebbe mai di avere tradito le sue aspettative? Invece essere innamorato è già grasso che cola per lui!
- Non è affatto ovvia la comprensione che quest'uomo ti offre.
- Non è ovvia neanche la comprensione che pretende.
- Ma altrimenti il divertimento dove sarebbe?
E ognuno si perde, per un istante, in un pensiero solo suo.
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The LR advice: Questo più che un consiglio è un commiato. Ci ho pensato a lungo se fare o meno questa recensione e soprattutto se usare le citazioni, ma mi sembrava giusto farla lo stesso, per un'ultima volta. È evidente che di tutti i libri descritti tramite le loro stesse parole non si può fare a meno, ma se devo ringraziare uno dei due è certamente quello di Levante più che della Gamberale, che stavolta - a differenza di "Per dieci minuti" - si è un po' persa nella ripetitività della sua scrittura ampollosa.
A parte quest'ultimo commento, però, come vedete questo giornale creato mescolando scampoli di libri non ha una fine, è un epilogo senza epilogo.
Forse perché, dopo 5 anni, 67 libri e 58 recensioni non ci può essere una fine definitiva, ma solo un arrivederci a idee più chiare, parole più libere e soprattutto nuove letture.