Può un pugno nello stomaco lasciarti un’impressione
positiva?
La risposta è sì, a volte può.
Prima di tornare a giurare e spergiurare che questo per
un po’ sarà l’ultimo libro della sezione “Deviazioni dal genere” e che dal
prossimo tornerò alla narrativa romantica che tutte preferiamo, lasciatemi parlare
un po’ di questo libro.
Lo ammetto, ero prevenuta: non era il classico libro
nelle mie corde e poi era decisamente troppo breve (io sono un tipo dalle 400
pagine in su perché ho bisogno di un certo senso di rassicurazione dai libri,
della certezza che per un po’ mi terranno compagnia) e poi, dulcis in fundo,
era di una scrittrice italiana! A parte l’adorata Sveva C.M., sono sempre stata
reticente nei confronti della letteratura nostrana, esterofila fino all’osso
come molti italiani, ecco, io lo sono nella narrativa. Ma mia sorella (la
responsabile dell’acquisto del libro in questione) me l’ha passato e ho deciso
di fidarmi.
E quindi eccomi qui. Per questo libro non riesco a essere
frizzante e ironica come nelle altre recensioni, perchè la verità è che mi ha davvero
colpita.
Praticamente è scritto come un monologo interiore, un
flusso ininterrotto, una lettera aperta alla figlia da parte della protagonista
(angelo? coscienza un attimo prima di morire?) in cui ripercorre passato remoto
e presente agghiacciante in un unico streaming di pensieri e parole.
Per farsi coinvolgere dalla storia e dalla lucidità con
cui la protagonista si racconta, bisogna cercare di soprassedere allo stile
“opulento” in termini di ricchezza di parole dell’autrice, e resistere ai
conati di vomito causati dall’indigestione di sinonimi e contrari propinati per
spiegare, sviscerare, decodificare e puntualizzare ogni singola emozione (…ehm…appunto!!!
Mi deve avere attaccato una sorta di virus da reiterazione verbale compulsiva!
AHHHH!)
Sarà che a noi italiani ci piace parlare (popolo di
santi, poeti, navigatori e.. chiacchieroni!) ma la fanciulla, con tutte ste sue
pile di vocaboli, di sinonimi e di metafore, rischia di invadere la storia con
il proprio stile narrativo e di distrarti proprio nel pieno della lettura (come
quando a metà libro si è cimentata in un Guinness World Record personale
nell’individuazione di sinonimi della parola “vischioso”…)
Comunque, mi accorgo ora che a tre quarti di recensione
ancora non ho parlato del libro, lo stile dell’autrice mi ha inseguita fin qui.
Aiuto. Il libro in realtà è parecchio bello, e -come cercavo di dire- una volta
superata l’impasse iniziale la storia ti
si avviluppa attorno come una pianta rampicante e ti sciocca profondamente. E’
tanto più scioccante perché una madre-ragazzina (che ragazzina d’età non è, ma
di testa sì), in un singolo giorno comprende tutta la propria vita e i propri
errori, li denuncia per prima a se stessa e poi a figlia e marito anche se in
questa forma onirica di lettera aperta, e infine pone fine alla propria
esistenza tagliando di netto la saga di egoismo che l’aveva sempre
caratterizzata.
Bravi, finalmente un personaggio complesso,
introspettivo, magnetico (aridaje con i cumuli verbali, vabbè, non c’è una cura
è evidente, meglio fermarsi qui prima di straripare in tutto il blog).
The LR advice: come
diceva l’eterno Monsieur Ego in Ratatouille…
“Per molti versi la
professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo
su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio; prosperiamo
grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere.
Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle
cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la
definisce tale.”
Care lettrici, non fidatevi della mia recensione così
lunga e che rende così poca giustizia al libro, le recensioni negative sono "uno
spasso da scrivere e da leggere", mentre quelle positive sono sempre le più
difficili. Fidatevi solo del mio consiglio: leggete il libro, non ne rimarrete
deluse.