Le aspettative nei confronti di questo libro erano
altissime: d’altra parte dopo un film eccezionale come quello con Meryl Streep
e Anne Hathaway, era logico che qualsiasi lettore avrebbe letto e immaginato il
libro anche come sequel cinematografico. Peccato che, come spesso accade quando
le aspettative sono troppo alte, questo “Diavolo veste Prada 2.0” si sia
rivelato una delusione. E sapete perché? Perché di “Diavolo veste Prada” non ha
proprio niente!
All’inizio pensavo di essere esagerata o forse
impreparata (ammetto di avere solo visto il film e non avere letto il primo
libro), ma una volta finito l’impressione era che la storia non c’entrasse
nulla col capitolo precedente e che avrebbe potuto reggere benissimo anche con
nuovi nomi e nuovi personaggi. E in effetti la sensazione non è solo mia: ero
così incredula che sono andata a sbirciare altre recensioni fatte da altre
blogger più o meno conosciute e il sentore comune era proprio quello di un
certo disorientamento. Per risolvere questa recensione (e sciogliere gli
atavici dubbi sorti nel corso della lettura), ho cercato quindi di farmi delle
domande… e di darmi delle risposte (per la serie “fatti una domanda e datti una
risposta”)….eccole qui, sentitevi libere di aggiungerne altre alla lista!
Domanda 1: Cosa
manca de “Il diavolo veste Prada”?
Risposta 1: Beh,
la moda, innanzitutto! La redazione di Runway è stata sostituita da quella di
un’inverosimile rivista di matrimoni di lusso condotta dalle 2 acerrime nemiche
Andy ed Emily. Una rivista di matrimoni di lusso? Quando viene descritto il
target a cui si rivolge le parole stridono come unghie sulla lavagna.
Domanda 2: Ma
Andrea non aveva mollato Runway perché voleva scrivere su giornali più seri di
argomenti inerenti il sociale? Come ci è finita a scrivere di matrimoni?? Non è
coerente col personaggio che era emerso nel primo libro!
Risposta 2: I
matrimoni semplicemente… vanno di moda!!! La triade “Tiffany, cupcake e wedding
planning” è in cima alle tematiche della narrativa romantica, ed è ancora dura a
morire.
Domanda 3: Se
sono passati 10 anni e Andy è ormai una
donna adulta, realizzata e volitiva, perché per tutto il libro sembra così
insicura? Dove è finita la Andy che ha mandato a quel paese Miranda lanciando
il telefono in una fontana di Parigi nel bel mezzo della settimana della moda?
E soprattutto, dove sono finite le sue palle?
Risposta 3:
Dicesi “mancato sviluppo del personaggio”: sembra che Andy abbia subito una
regressione invece che un’evoluzione. Se da un lato la Weisberger ci mostra una
donna che ha gettato le basi per costruire un “impero” nel mondo dell’editoria,
dall’altro ci fa vedere una protagonista piena di insicurezze: col fidanzato
poco prima di andare all’altare, con la collega nella difficoltà anche solo di
parlare della faccenda Elias-Clark, ed ovviamente nel rapporto con Miranda.
Arriviamo giustamente a Miranda: la sua presenza nel
libro è relegata a poche scene, che per quanto siano le più riuscite, fanno
solo intrasentire il brivido di paura che il personaggio di Miranda Priestly,
come una novella Crudelia Demon, dovrebbe evocare. Troppo poco per
immedesimarsi in Andy e giustificare quella paura che un’altra collega blogger
in un’altra recensione ha magistralmente definito “una sorta di sindrome post
traumatica da reduci di guerra”.
Ma se da un lato c’è poca Miranda, dall’altro il libro ha
guadagnato un argomento completamente nuovo: la maternità!! TA-DAHHHHH! Chi mi
segue da un po’ avrà notato che da mesi (e in particolare da una recensione)
affermo che la gravidanza e la maternità siano il nuovo filone tematico che si
è aggiunto alla sopra citata triade di argomenti clou. Ma aspettate un attimo:
cosa c’entra la maternità, che volente o nolente è fatta di tute, pappe,
pannolini e rigurgiti, con lo scintillante e fashionista mondo di Runway e del “Il
diavolo versione 1.0”? NIENTE! E infatti nella parte dedicata al bebè sembra
proprio di leggere un altro libro, ambientato in un corso post parto e con
personaggi tutti nuovi. In questo contesto Andy si sarebbe potuta chiamare
Alice, Dorothy, Jennifer o Lucy che tanto non sarebbe cambiato niente. Andrea
non è la stessa Andrea che avevamo imparato a conoscere nel libro e nel film
numero 1.
Che peccato, quanta confusione… quanta voglia della
Weisberger di scrivere un nuovo libro e una nuova storia che trasuda da queste
pagine, ingiustamente (e secondo me, anche in modo postumo) ricollegate alle
vicende del suo primo grande successo.
E quindi, con una amorevole circolarità, non posso che
concludere la recensione così come è incominciata, ovvero con una domanda: perché?
The LR advice:
purtroppo è il primo caso dopo tanto tempo in cui mi sento di non raccomandare
una lettura. Il libro è definibile solo in una maniera: trascurabile. Ma per
non far sì che il giudizio su un singolo libro diventi giudizio di merito sull’autrice,
il mio personalissimo proposito per gennaio 2014 è di fare ciò che sto
rimandando ormai da 2 anni, ovvero rileggere e recensire l’altro libro della
Weisberger, ormai datato, che è “Un anello da Tiffany” e concludere così la “Tiffany
saga”. Lauren è brava e si merita di più di questa stroncatura….speriamo solo
che “La vendetta veste Prada” sia uno scivolone momentaneo e che l’autrice
torni presto ai fasti a cui ci aveva abituati.
se mi dici che non è molto bello, eviterò di leggere questo libro che tanto mi incuriosiva. Amo moltissimo il film Il Diavolo Veste Prada che ritengo sia molto ben riuscito a differenza di altri film sulla moda che sono leggeri e senza grandi insegnamenti. Ho davvero amato quel film perché mi ha fatto credere in me stesso e mi ha fatto capire che con un po' di determinazione e pazienza nulla è impossibile! Ho deciso quindi di leggere il libro che mi ha un po' deluso rispetto al film. Strano da dire ma è vero o per lo meno per me è stato così! A questo punto posso solo dire un "BRAVE" a Meryl Streep, Anne Hathaway e Emily Blunt che hanno saputo rendere il film divertente ma allo stesso rispettoso della realtà del mondo del lavoro fondato su sacrificio e determinazione, senza illuderci che la vita sia facile come invece spesso ci viene presentato nelle fiction americane. Ottima recensione del libro. ciaooooo
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