4 gennaio 2014

“La vendetta veste Prada” di Lauren Weisberger

Le aspettative nei confronti di questo libro erano altissime: d’altra parte dopo un film eccezionale come quello con Meryl Streep e Anne Hathaway, era logico che qualsiasi lettore avrebbe letto e immaginato il libro anche come sequel cinematografico. Peccato che, come spesso accade quando le aspettative sono troppo alte, questo “Diavolo veste Prada 2.0” si sia rivelato una delusione. E sapete perché? Perché di “Diavolo veste Prada” non ha proprio niente!

All’inizio pensavo di essere esagerata o forse impreparata (ammetto di avere solo visto il film e non avere letto il primo libro), ma una volta finito l’impressione era che la storia non c’entrasse nulla col capitolo precedente e che avrebbe potuto reggere benissimo anche con nuovi nomi e nuovi personaggi. E in effetti la sensazione non è solo mia: ero così incredula che sono andata a sbirciare altre recensioni fatte da altre blogger più o meno conosciute e il sentore comune era proprio quello di un certo disorientamento. Per risolvere questa recensione (e sciogliere gli atavici dubbi sorti nel corso della lettura), ho cercato quindi di farmi delle domande… e di darmi delle risposte (per la serie “fatti una domanda e datti una risposta”)….eccole qui, sentitevi libere di aggiungerne altre alla lista!

Domanda 1: Cosa manca de “Il diavolo veste Prada”?
Risposta 1: Beh, la moda, innanzitutto! La redazione di Runway è stata sostituita da quella di un’inverosimile rivista di matrimoni di lusso condotta dalle 2 acerrime nemiche Andy ed Emily. Una rivista di matrimoni di lusso? Quando viene descritto il target a cui si rivolge le parole stridono come unghie sulla lavagna.

Domanda 2: Ma Andrea non aveva mollato Runway perché voleva scrivere su giornali più seri di argomenti inerenti il sociale? Come ci è finita a scrivere di matrimoni?? Non è coerente col personaggio che era emerso nel primo libro!
Risposta 2: I matrimoni semplicemente… vanno di moda!!! La triade “Tiffany, cupcake e wedding planning” è in cima alle tematiche della narrativa romantica, ed è ancora dura a morire.

Domanda 3: Se sono passati  10 anni e Andy è ormai una donna adulta, realizzata e volitiva, perché per tutto il libro sembra così insicura? Dove è finita la Andy che ha mandato a quel paese Miranda lanciando il telefono in una fontana di Parigi nel bel mezzo della settimana della moda? E soprattutto, dove sono finite le sue palle?
Risposta 3: Dicesi “mancato sviluppo del personaggio”: sembra che Andy abbia subito una regressione invece che un’evoluzione. Se da un lato la Weisberger ci mostra una donna che ha gettato le basi per costruire un “impero” nel mondo dell’editoria, dall’altro ci fa vedere una protagonista piena di insicurezze: col fidanzato poco prima di andare all’altare, con la collega nella difficoltà anche solo di parlare della faccenda Elias-Clark, ed ovviamente nel rapporto con Miranda.

Arriviamo giustamente a Miranda: la sua presenza nel libro è relegata a poche scene, che per quanto siano le più riuscite, fanno solo intrasentire il brivido di paura che il personaggio di Miranda Priestly, come una novella Crudelia Demon, dovrebbe evocare. Troppo poco per immedesimarsi in Andy e giustificare quella paura che un’altra collega blogger in un’altra recensione ha magistralmente definito “una sorta di sindrome post traumatica da reduci di guerra”.

Ma se da un lato c’è poca Miranda, dall’altro il libro ha guadagnato un argomento completamente nuovo: la maternità!! TA-DAHHHHH! Chi mi segue da un po’ avrà notato che da mesi (e in particolare da una recensione) affermo che la gravidanza e la maternità siano il nuovo filone tematico che si è aggiunto alla sopra citata triade di argomenti clou. Ma aspettate un attimo: cosa c’entra la maternità, che volente o nolente è fatta di tute, pappe, pannolini e rigurgiti, con lo scintillante e fashionista mondo di Runway e del “Il diavolo versione 1.0”? NIENTE! E infatti nella parte dedicata al bebè sembra proprio di leggere un altro libro, ambientato in un corso post parto e con personaggi tutti nuovi. In questo contesto Andy si sarebbe potuta chiamare Alice, Dorothy, Jennifer o Lucy che tanto non sarebbe cambiato niente. Andrea non è la stessa Andrea che avevamo imparato a conoscere nel libro e nel film numero 1.

Che peccato, quanta confusione… quanta voglia della Weisberger di scrivere un nuovo libro e una nuova storia che trasuda da queste pagine, ingiustamente (e secondo me, anche in modo postumo) ricollegate alle vicende del suo primo grande successo.
E quindi, con una amorevole circolarità, non posso che concludere la recensione così come è incominciata, ovvero con una domanda: perché?


The LR advice: purtroppo è il primo caso dopo tanto tempo in cui mi sento di non raccomandare una lettura. Il libro è definibile solo in una maniera: trascurabile. Ma per non far sì che il giudizio su un singolo libro diventi giudizio di merito sull’autrice, il mio personalissimo proposito per gennaio 2014 è di fare ciò che sto rimandando ormai da 2 anni, ovvero rileggere e recensire l’altro libro della Weisberger, ormai datato, che è “Un anello da Tiffany” e concludere così la “Tiffany saga”. Lauren è brava e si merita di più di questa stroncatura….speriamo solo che “La vendetta veste Prada” sia uno scivolone momentaneo e che l’autrice torni presto ai fasti a cui ci aveva abituati.

1 commento:

  1. se mi dici che non è molto bello, eviterò di leggere questo libro che tanto mi incuriosiva. Amo moltissimo il film Il Diavolo Veste Prada che ritengo sia molto ben riuscito a differenza di altri film sulla moda che sono leggeri e senza grandi insegnamenti. Ho davvero amato quel film perché mi ha fatto credere in me stesso e mi ha fatto capire che con un po' di determinazione e pazienza nulla è impossibile! Ho deciso quindi di leggere il libro che mi ha un po' deluso rispetto al film. Strano da dire ma è vero o per lo meno per me è stato così! A questo punto posso solo dire un "BRAVE" a Meryl Streep, Anne Hathaway e Emily Blunt che hanno saputo rendere il film divertente ma allo stesso rispettoso della realtà del mondo del lavoro fondato su sacrificio e determinazione, senza illuderci che la vita sia facile come invece spesso ci viene presentato nelle fiction americane. Ottima recensione del libro. ciaooooo

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