13 agosto 2017

Gli ultimi due: "Se non ti vedo non esisti" e "Adesso"



Giuro che questi saranno gli ultimi, così come recita il titolo.

Saranno le ultime due deviazioni dal genere in un anno in cui è mancata la forza per leggere, per vivere, per fare qualsiasi altra cosa che non fosse pensare ed arrovellarsi senza requie. 
Questi tipi di libri mi hanno accompagnata nel turbinio dei pensieri degli ultimi 11 mesi e, ora che non c'è quasi più energia nemmeno per quello, ho deciso di fare una pausa dalla lettura... e di conseguenza dal blog.

Come sempre, anche nel caso di quest'ultima recensione, non sono capace di recensire davvero questi libri ma solo di farli parlare per me. 
Partendo dai titoli, perché quelli di questi due sono davvero pazzeschi: 

"Se non ti vedo non esisti" --- io ho delle espressioni mantra, che spesso mi vengono rinfacciate da chi mi sta attorno, forse perché li ammorbo ripetendole troppo spesso, forse per una certa attitudine da maestrina con cui le recito o le dispenso come consigli non richiesti... non le starò a citare ma mi addolora quando gli altri ne sono infastiditi e me le risbattono in faccia come stracci bagnati. Non capiscono che quelle frasi, come tutto nella vita, sono dette per se stessi. Tra questi mantra per tanto tempo, mesi, è rientrato anche il titolo di questo libro. Quanta verità può essere contenuta in 6 parole?

"Adesso" --- adesso era un concetto molto particolare quando ho comprato questo libro dallo scaffale di un aeroporto. Era un adesso fatto prevalentemente di ieri e di tantissima paura del domani. Ma quell'adesso era un adesso giusto, confermato da altri segni, anche quelli -come i mantra - diventati ormai parte della nuova me. 

Ci ho messo tanto per leggere entrambi i libri, sono stati più volte abbandonati a loro stessi, lasciati impolverare nel cassetto del comodino. Ma di entrambi, ho conservato le immagini che ora proverò a trasporre qui. 

Stavolta non voglio creare una storia nella storia, abbiamo già visto che l'esperimento è fallito perché ogni storia è diversa e di nessuna si può indovinare il prosieguo. 
Stavolta, per l'ultima volta, vorrei creare un diario, un giornale per ripercorrere delle emozioni in ordine cronologico senza date e senza nomi, mischiando talmente tanto le parole da non riuscire più a ricondurle a un libro, all'altro, o forse a nessuno.

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Salii le scale tutto d'un fiato, entrai e mi chiusi in bagno. Che aspetto ridicolo avevo. Tra le mura di casa, in mezzo ai miei oggetti mischiati a quelli di mio marito, in mezzo a quelli comprati insieme, avevo un aspetto orrendo. 
Allo specchio vidi una donna triste e sola, senza nessun equilibrio, in caduta libera, che in lontananza non trovava alcun punto di arrivo.
Avevo attraversato l'orizzonte degli eventi, oltrepassato il quale non si torna più indietro? Sì. Avevo scandito il mio presente, ormai passato, con delle scelte disoneste. Avevo scelto di essere scorretta, perché quell'amore che sentivo, quel trasporto da mancamenti, da giri di testa, brividi, vuoti allo stomaco, era una macchia indelebile sul mio candido vestito da sposa.
Quell'amore era nato quando non doveva, dove non doveva. Fuori tempo. Fuori luogo. Il suo tempismo nell'arrivare nella mia vita era sbagliato, perché non c'era spazio per lui e per quella relazione. O forse sì, forse era riuscito a farsi spazio tra le mie stanze perché aveva trovato aperta la porta di servizio, la stessa dalla quale era uscito mio marito per lasciarmi riflettere, per poter riflettere per lui.
Mio marito si era dimenticato di chiuderla a chiave, e adesso eccomi lì, a non saper allontanare quell'uomo che adesso bussava con insistenza.
Ma no, certo non era colpa di mio marito se io non avevo la forza di rimanere ferma davanti ai miei doveri di moglie, di amica, di persona. Davanti al,lo specchio mi condannai, mi giudicai, mi rimproverai. E mi promisi che no, quell'uomo non l'avrei rivisto mai più.

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Ma era tutto nella mia testa. Nella realtà le cose rotolavano come in una valanga irrefrenabile che avrebbe fatto morti e feriti.
A lungo stetti in silenzio, negando persino a me stessa quanto buio sarebbe stato il luogo in cui mi stava portando la strada che stavo percorrendo.
Ogni volta che mio marito tornava a casa, dopo i suoi viaggi di lavoro o i brevi soggiorni a Firenze, trovava una donna diversa. Perdevo parti di me, della ragazza che aveva sposato, per diventare sempre meno sua, sempre più estranea. Per non essere. Avrei voluto cambiare pelle, avrei tinto e tagliato i capelli, buttato i miei vecchi vestiti, pur di non riconoscermi allo specchio. Pur di non farmi riconoscere.
Che dolore gigante gli stavo regalando, solo perché non riuscivo a reggere il peso della mia disonestà - e nemmeno quello della responsabilità, che avrebbe dovuto spingermi a raccontargli ogni cosa della mia nuova vita. Ma era davvero quella, la mia nuova vita? No, era solo un'altra vita , un'altra me, un'altra proposizione con altre subordinate. 
Trasformai i miei sensi di colpa in rabbia, l'esaurirsi del mio amore per mio marito divenne una sua mancanza, vidi in mio marito il limite della mia felicità, la gabbia, la fine del mondo alla quale volevo sopravvivere, a tutti i costi.
Cademmo in un vortice di non comunicazione e di incomprensione in cui a mio marito mancava il tassello fondamentale, il terzo incomodo che c'era tra di noi. Per questo ogni mio stato di ansia, di agitazione, di apatia, di insofferenza, tutte le cose più brutte del mondo che una donna può provare in casi di cecità emotiva, veniva interpretato da mio marito con la lettura più semplice possibile: "Lo capisco, hai bisogno dei tuoi spazi e di realizzarti appieno, anche con il lavoro". 
La sua disponibilità a capirmi, la sua umanità, la sua tolleranza, la grandissima sopportazione davanti ai miei atteggiamenti di chiusura mi fecero capire tre cose importanti:
- mio marito era una persona speciale
- io ero una stronza
- non mancava amore tra me e lui. L'amore mancava solo a me.
A lungo non riuscii a immaginarmi senza l'uomo splendido che avevo sposato. Nonostante viversi fosse diventato difficile, nonostante tentassimo di stare il più lontano possibile, dividendoci ogni qualvolta ne avevamo la possibilità, l'idea di separarci mi faceva male quanto un taglio a carne viva in mezzo al petto.

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Eravamo onesti in quella bugia, avvinghiati l'uno all'altra in un desiderio d'amore puro, colpevoli per aver sognato la leggerezza della felicità, una leggerezza di cui prima di incontrarci non ricordavamo la sensazione... quella stessa leggerezza che si trasformava in un macigno legato alle caviglie ogni volta che tornavo a casa e non sapevo più volare.
Totalmente scissa tra mio marito e l'altro uomo, mentre con un braccio mi aggrappavo al primo e con l'altro afferravo il secondo, sapevo che il risultato sarebbe stato uno strappo irreparabile che mi avrebbe ridotta in brandelli.

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Io ti dimentico, ti dimentico quanto è vero Dio. Ti dimentico perché so che non siamo stati reali nemmeno per un istante, ma eravamo frutto della mia fervida immaginazione, ti ho creato dentro di me nella forma che serviva a completare il puzzle delle mie mancanze. E non mi mancherai, non mi mancherà non capire nulla di te, non mi mancheranno le tue frasi vaghe, le tue stanze torbide, la tua vita felice dalla quale fuggi per cercare il brivido della novità, non mi mancherà vederti mangiare le polpette vegetariane, fumare l'erba ma sgridarmi perché fumo le sigarette, bere vino rosso sempre e non ubriacarti mai, che alla fine quella sbronza ero io, e non per l'alcol. Non mi mancherà il tuo sguardo spudorato e tutte le volte che, dopo avermi regalato una certezza chiudevi le frasi con "forse". Il nulla non può mancarmi, e quello che mi resta di noi è una somma di niente che come risultato ha sempre zero.

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Conoscevo la strada per la felicità, avrei saputo arrivarci a occhi chiusi, ma il problema vero era scegliere cosa potesse realmente farmi felice. Non lo sapevo più. Ebbi la sensazione che la mia amica mi stessa guardando dall'alto di un labirinto nel quale ero finita e mi stesse suggerendo la via d'uscita dicendomi semplicemente "È di là". Di là dove? Non sapevo decidermi, ecco la verità. Avrei dovuto rinunciare a qualcosa, e io nella rinuncia non vedevo mai la grande prova di forza di chi sceglie. Io nella rinuncia vedevo soltanto una gigantesca sconfitta.

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Quando l'universo non sa cosa desideri, l'universo non può aiutarti.

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Il dolore è un'esperienza eccezionale che ci costringe a faccia a faccia con la nostra identità più profonda? No, dottoressa, il dolore è una cosa normale. E ci serve per andare avanti.

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Problemi familiari, influenza, lutto: sulle giustificazioni per saltare un giorno di scuola, sui cartelli appesi alla saracinesche abbassate non appare mai scritto INNAMORAMENTO. Professore, mi si muove una pallina nella pancia. Professoressa, ho conosciuto Mario ho conosciuto Maria, e mi è sembrato il primo Mario, la prima Maria: ieri non ce l'ho fatta a studiare latino. Vogliate scusarmi, ma oggi la farmacia resta chiusa, oggi non apro il ristorante: è che ho conosciuto Maria. Voleva che l'accompagnassi al mare e poi a ballare, capite? E io proprio non potevo rispondere di no.
È così che dovrebbe funzionare, è così che dovremmo essere tutti educati, tutti autorizzati a fare fin da bambini: e non per andare dietro a ogni emozione che ci attraversa. Ma proprio perché, fermandone una, ci potremmo occupare solo di quella, la prenderemmo sul serio, come ci raccomandano di prendere prima la scuola, poi il lavoro, e impediremmo a tutte le altre emozioni di assalirci, di fare confusione, destinarci all'Arca senza Noè e a un'eterna tempesta. 
Mamma, oggi non vado a nuoto perché rimango a letto a pensare a quel bambino che balbetta; papà, oggi non vado a scuola perché voglio disegnare quella bambina con la treccia seduta nel banco davanti al mio.
È così che dovremmo crescere, per essere un po' più addestrati a non perdere chi, nel tutto uguale, fa la differenza.

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Lascia scivolare la forchetta nel piatto. Non è un gesto aggressivo, ma per uno mite come lui significa qualcosa. Significa: perché? Perché è da un mese che, quando ti cerco il viso, tu lo abbassi o lo alzi, perché cadi in pensieri che non devono avere niente a che fare con noi, se ti ammalano lo sguardo sempre vivo che hai e ti fanno spingere la fronte con le dita, proprio come stai facendo adesso? Dove vai, quando cadi? Dove cadi?
- Che c'è? - ripeté.
- Non lo so che c'è, ma continuo a farmi delle domande sulla nostra storia.
- E perché?
- Le domande arrivano per conto loro, mica c'è un perché.
- Mi sembra vada tutto talmente bene, tra di noi.
- Certo, che va bene. Certo.
- E allora?
Lei apre gli occhi e scopre che quelli di lui, adesso, sono allarmati.
Sembrano quelli di un bambino. O meglio, sembrano quelli che aveva lei quando stava con suo marito e lui non poteva trattenersi dal torturarla con i suoi dubbi, con i suoi ricatti, con il vagheggiamento della vita migliore che avrebbe potuto fare se non l'avesse mai incontrata. Si comporta così perché vuole sfidarti, essere innamorato di te lo fa sentire indifeso e ha bisogno di attaccare: le aveva spiegato la psicologa, a suo tempo. E lei si domanda se adesso, forse, non sia arrivato il suo turno di comportarsi come suo marito e di sfidare l'altro, perché essere innamorata di lui la fa sentire indifesa.
- Perdonami. Lo so che in questo periodo sono insopportabile.
- Non ti devi scusare di niente. Vorrei solo che mi rendessi partecipe. Sei proprio tu che, ogni giorno, mi insegni che a condividere qualcosa non la si perde, ma anzi la sia guadagna. Il vecchio me non ti avrebbe mai chiesto spiegazioni, tantomeno di un tuo turbamento.
- Sì, ma io sono brava coi turbamenti degli altri. A condividere i miei faccio più fatica.
- Non abbiamo fretta, ci aspettano due settimane solo per noi. 
Le accarezza le mani e le braccia.
- Il punto è che ho paura.
Lui continua a guardarla con quegli occhi che lei conosce così bene. Non vuole farlo soffrire, pensa. Non voglio sfiancare il suo amore per me come mio marito ha sfiancato il mio per lui: e perché? Perché aveva paura, e così mi ha persa.
- Ma non voglio perderti, ecco sì. Ho paura ma non voglio perderti.
I suoi occhi tornano alla loro tenerezza profonda.
- E perché dovresti perdermi proprio ora che ci siamo trovati?
- E perché tu sei tanto sicuro invece? Ti ricordi le ansie che ti erano prese dopo la prima volta che abbiamo fatto l'amore? Sei sparito per due mesi...
- Quando ci ripenso lo trovo buffo, tu no? Ero convinto che una presentatrice televisiva non se ne facesse niente di un povero disgraziato come me, ti immaginavo preda di un'esistenza rutilante, mi sembrava inverosimile anche solo che tu ti ricordassi di aver trascorso un pomeriggio focoso con un preside che...
- Non mi riferisco a cazzate come queste!
- Aiutami a capire, perché davvero non capisco.
- E certo, certo che non capisci - Nemmeno gli occhi di lui, che sono stati anche quelli di lei, hanno il potere di fermare quello che di nero e però chiarissimo le sta montando dentro - Perché tu preferisci rimuovere le difficoltà. È una vita che vai avanti in questo modo.
- Di sicuro in passato mi sono comportato così, è vero. Ma al momento, francamente, non vedo quali difficoltà possano esserci fra di noi. Forse, più che della mia ignavia, è della tua impossibilità di godere della pace che dovremmo parlare. Del bisogno che evidentemente hai di un nemico che in me non puoi trovare. E che dunque ti inventi.
- Davvero? Davvero secondo te me la invento la fatica che faranno ad accettare la nostra relazione? E mi invento il fatto che mi sembra impossibile, impossibile, dare alla mia separazione il suo sviluppo naturale e passare al divorzio, perché significherebbe divorziare anche dalla mia parte bambina che non posso, e forse neanche voglio, nonostante a quasi quarant'anni sia penoso, abbandonare del tutto? Me la invento questa smania assassina di fuggire sempre, sempre, non importa di preciso dove, l'importante è che sia lontano, lontanissimo da chi mi è vicino? Mi invento anche il rischio che prima o poi la smania torni e si prenda tutto senza darmi in cambio niente, perché è fatta così? Mi invento l'apatia con cui reagiresti a tutto questo, perché sei fatto così, e preferisci chiudere subito con una persona piuttosto che aprire un confronto? Me li invento tutti i motivi per cui tu, io e di conseguenza noi siamo fragili, e forse stiamo solo correndo il rischio di infliggerci un nuovo dolore che stavolta sarebbe davvero irreparabile, perché quando ci siamo incontrati eravamo già due reduci?
Lui aspetta che finisca, poi le dà un bacio lieve sulla guancia ed entra in casa. Lei rimane sul patio da sola, si accuccia sui gradini, si stringe le ginocchia al petto e comincia a piangere. Piano, perché non la senta nessuno. I grilli, le agavi, i pini, la notte, lui.

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- È strano no? Per certi versi lo spazio dell'intimità, dentro di noi, si restringe man mano che cresciamo: è sempre più difficile che ci si infili davvero qualcuno. Ma nello stesso tempo, man mano che cresciamo, forse dobbiamo abbandonare il sogno che quello spazio possa essere riempito da un'unica persona.
- È così.
- Quindi stare insieme a una persona, adesso, che cosa significa, se non significa più avere un solo posto da considerare casa?
- Forse, significa proprio avere come presupposto la nostra complessità e quella dell'altra persona. E tentare di rispettarle.
- Che confusione però, no?
- Io negli ultimi mesi provo a ragionare in termini di ricchezza anziché di confusione. Abbiamo due vite ricche, di sbagli e di ferite, certo. Ma anche di legami che a quegli sbagli e quelle ferite sono sopravvissuti. Sarebbe artificioso e quindi inutile liberarci di quei legami. Lo sforzo è quello di tenere tutto insieme.
- Però è uno sforzo: vedi che lo ammetti anche tu? Quelli che ce la fanno al primo giro, che invecchiamo con la sola persona che un giorno, sempre più lontano, gli ha mosso una pallina all'altezza della pancia, non devono fare nessuna fatica. Sono dei paraculi, perché hanno al fianco e dentro di loro, come fosse una bussola, un uomo, una donna: sempre quello, sempre quella. I figli che magari sono venuti. Un solo posto da considerare casa, appunto.
- E lo sforzo di farsela bastare sempre e comunque l'esistenza con quella persona? Dove lo metti. Io, più che dei paraculi, quelli che ce la fanno al primo giro, se i compromessi che accettano non sono eccessivi, li considero da Premio Nobel per la Pace.
- Paraculi o Premi Nobel che siano, pensa che avventura l'esistenza - in generale intendo -  a farsela bastare.
- Ci siamo provando anche noi...
- Forse hai ragione, e infatti... perché ridi?
- Perché negli ultimi mesi, da quando ti conosco, mi sono occupato di dinamiche e alchimie umane più che in tutti i miei 45 anni.
- Figurati che io non mi sono mai occupata di altro.
- E infatti cucini malissimo.

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- Pensa a quanto deve essere impegnativo per un uomo venire a capo del tuo perverso mix tra bisogno d'indipendenza e bisogno di attenzione - la incalza il suo amico.
- Amarsi è senz'altro un'impresa, ma continuare a incrociare persone senza che mai nessuna, dico nessuna, si incastri per davvero nella tua vita è una condanna, è un'allucinazione: te lo ricordi o no?  - la sua amica sospira - Riconosci quanto è raro che, proprio mentre ti incastravi nella sua vita, anche lui si incastrava nella tua?
- E dove la metti la pazienza di sopportare i tuoi estenuanti cambi di umore?
- Per non parlare del vizio di usare la verità come una clava credendo che agli altri arrivi come un bacio in fronte?
- E la tentazione che hai di psicanalizzare pure questa feta grigliata?
- La tua perenne e irritante insoddisfazione?
- E il tuo ex poi? È socialmente inaccettabile che tu non riesca a divorziare dal tuo ex marito e continui a mantenere con lui un rapporto tanto privilegiato...

- Che vi è preso? Perché infierite tutti contro di me?

- Non vogliamo infierire - dice la sua amica facendosi portavoce di tutti - è solo che lui sarà pure un uomo difficile. Ma proprio per questo se ne frega di quanto è socialmente inaccettabile e non ti richiamerà mai a nessun ordine prestabilito.
- Magari invece avrei bisogno proprio di qualcuno diverso da me, qualcuno che mi richiamasse a quell'ordine che dentro, da sola, non riesco a fare e che...
- Tu? Tu vorresti essere richiamata a un ordine prestabilito? Per poi fare cosa? Deludere inevitabilmente il disgraziato che te lo ha proposto e che non ti perdonerebbe mai di avere tradito le sue aspettative? Invece essere innamorato è già grasso che cola per lui! 
- Non è affatto ovvia la comprensione che quest'uomo ti offre.
- Non è ovvia neanche la comprensione che pretende.
- Ma altrimenti il divertimento dove sarebbe?
E ognuno si perde, per un istante, in un pensiero solo suo.

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The LR advice: Questo più che un consiglio è un commiato. Ci ho pensato a lungo se fare o meno questa recensione e soprattutto se usare le citazioni, ma mi sembrava giusto farla lo stesso, per un'ultima volta. È evidente che di tutti i libri descritti tramite le loro stesse parole non si può fare a meno, ma se devo ringraziare uno dei due è certamente quello di Levante più che della Gamberale, che stavolta  - a differenza di "Per dieci minuti" - si è un po' persa nella ripetitività della sua scrittura ampollosa.

A parte quest'ultimo commento, però, come vedete questo giornale creato mescolando scampoli di libri non ha una fine, è un epilogo senza epilogo. 
Forse perché, dopo 5 anni, 67 libri e 58 recensioni non ci può essere una fine definitiva, ma solo un arrivederci a idee più chiare, parole più libere e soprattutto nuove letture.

27 febbraio 2017

"Per dieci minuti" di Chiara Gamberale


È successo di nuovo, ecco un altro libro talmente bello e significativo da non poter essere recensito. Lo scopo di questo blog si sta vanificando... anzi no! (Nella giornata post Oscar non potevo esimermi dal fare questa battutina ehehehe). "Anzi no" è proprio vero, perché mi piace questa piega che io e il blog stiamo naturalmente prendendo, che vede le citazioni dei libri come uno strumento indispensabile per recensirli.

D'altra parte è figlia di due situazioni contingenti: la prima è che si stanno moltiplicando i libri leggeri ma significativi sui miei scaffali, libri di cui solo adesso inizio a fidarmi. Non per denigrare quelli che ho sempre amato e che anzi continuano a ricoprire la parte più grande dei miei interessi, ma più per far capire che in questi libri ultimamente sto trovando le rassicurazioni, il balsamo di cui una certa piega intimistica contingente mi rende bisognosa.

La seconda è che questi libri si prestano a meravigliose letture cellulare alla mano, quell'attività di second screen che ormai facciamo davanti alla TV (dico sempre che guardare #EPCC senza twittare è un delitto) e che in questo caso si riesce a fare anche in versione analogica. È assolutamente im-pos-si-bi-le non fare foto a più o meno una pagina ogni due, il libro è talmente pregno di frasi che sono macigni nell'animo - anche macigni positivi non fraintendete - capaci di tracciare solchi così intensi che non si possono non immortalare.

E quindi, forte di queste due consapevolezze, per recensire questo libro in realtà ho deciso di fare un gioco, un esperimento letterario: provare a riscrivere il libro stesso congiungendo tutte le citazioni che mi hanno toccata di più. 
Una storia nella storia, creata dalla concatenazione dei passaggi migliori, senza soluzione di continuità.
Si capirà la trama? Ne verrà fuori qualcosa di completamente inedito? 
Scopriamolo insieme!

Mio padre, mia madre, mio fratello e gli amici, che mentre tutto mi franava attorno e dentro restavano fermi al loro posto, nei primi tempi si erano dati il turno per dormire con me, mi avevano trascinata al cinema, al parco, al karaoke, allo stadio, in vacanza, non si sottraevano alle telefonate inutilmente lunghe senza "tu" (come stai? cosa pensi? che fai? ti permetti forse di esistere, nel frattempo?) e piene solo di "io" (non esisto più, sto male, voglio morire, e ora che faccio?) con cui li torturavo. 
Però giustamente, chiuso il telefono, avevano la loro vita a cui tornare.

L'unica a non avercela più, una vita, ero io.
Al suo posto una massa informe, sfilacciata, ferita, che come unico perno su cui girare aveva lo smarrimento.

Passato il momento del dolore insopportabile, poi, non c'era più neanche quello a farmi un po' di compagnia. 
Andavo a letto e l'unico pensiero prima di addormentarmi era la speranza di non risvegliarmi. Tanto il grande amore che dovevo avere l'avevo avuto, i romanzi migliori che dovevo scrivere li avevo scritti, di certo non ne avrei scritti altri in cui mi sarei potuta così profondamente esprimere, perché non avrei vissuto nient'altro che mi avrebbe potuto così profondamente toccare.

Siamo cresciuti insieme: così pensavano tutti, così pensavamo noi. 
Ma la verità è che non si cresce insieme perché capita o per magia. Bisogna stare, anzi, molto attenti. E se uno dei due cresce anche solo di mezza consapevolezza più in fretta dell'altro, ma l'altro anziché rincorrerlo ci rimane male e corre da un'altra parte, corre a New York, è un disastro ritrovarsi.

Chissà perché certi abbandoni sono così netti e certe riconquiste così vaghe.

Io cercavo animali strani, saline, foreste pluviali, deserti: e lo prendevo per mano.
Lui cercava musei, cattedrali, capolavori: e mi prendeva per mano. 
Se la nostra, come ogni giorno minaccia di fare, si rivelerà una fine e non solo una crisi, chi lo porterà per i boschi? Chi mi porterà per i musei? Chi si occuperà di tutte quelle parti di noi che diciotto anni fa è stato l'altro a inventare, che per diciotto anni è stato l'altro a tenere in vita?
Me lo domando tutti i giorni.

E improvvisamente capisco, so.
Che non sono i viaggi per il mondo, non sono i deserti immensi, le cattedrali, gli eserciti di terracotta, i panda, i canyon con Mio Marito che mi mancano: no. Non sono "i fatti salienti, le contraddizioni, le opere d'arte". Ma è quella cosa lì che mi manca.
La nostra vita sempre uguale. 
Bellissima.
Implacabile.

"Sto provando a farlo, sa, il gioco dei dieci minuti"
"E?" La T. non sembra turbata dal mio aver preso così sul serio quella che magari voleva essere solo una provocazione.
"E boh, appunto. Fondamentalmente, rispetto agli ultimi mesi, mi ritrovo con molto meno tempo per me stessa".
"In che senso?"
"Trovare una cosa nuova al giorno da fare non è facile. E mentre mi sforzo, va da sé: ho meno tempo per realizzare davvero come sto, tanto che a tratti sento come una piccola vertigine."
"È un bene?"
"Non saprei. A volte, l'impotenza di fronte a tutto quello che mi è successo mi manca. Mi manca svenirci dentro, all'impotenza. Il contatto con la mia parte più autentica a cui mi porta quello svenimento. "
"Non è detto che si debba svenire di dolore, per entrare in contatto con se stessi. O comunque non è detto che, una volta svenuti, non ci si possa risvegliare."

Io, al solito, mi sveglio comunque troppo presto, addosso l'impossibilità di alzarmi, aprire le tende e cominciare un'altra giornata, l'ennesima con cui faccio a braccio di ferro da quasi un anno.

Squilla il cellulare.
È lui. È da tanto che non ci sentiamo. Due giorni e mezzo, per essere precisi. Tantissimo che non ci vediamo: tredici giorni. Tanto, tantissimo tempo per chi aveva deciso di passare insieme tutto quanto, quello che c'era. Il tempo. Per chi, insieme, tutto quanto lo passava.

Gli lascio la mano.
Dice non ha senso lasciarmi la mano, se me l'hai presa. 
Gliela riprendo.
Lui la sfila subito via.
Dice tremenda, l'intimità. Tremenda, no?
Ripete: no?
Dice evidentemente io ho dei problemi, con questa cosa tremenda, ma non è che sotto sotto ce li abbiamo tutti? 
Dice perché secondo me sì, secondo me quei problemi ce li abbiamo tutti.
Allora, se provassimo a risolvere i nostri rinunciandoci, all'intimità?

Cosa?
Cosa è successo?
È successo che Mio Marito ha perso, dentro di sé, la strada di casa : e avrebbe bisogno di qualcuno che, come Pollicino, lasciasse un sassolino dopo l'altro, per indicargliela. Avrebbe bisogno di me. Però, dopo lo shock dell'abbandono, anch'io, dentro di me, ho perso quella strada. Anch'io avrei bisogno di Pollicino. Avrei bisogno di lui.

Vorrei prenderla in braccio, farla addormentare, addormentarmi con lei.
Vorrei assicurarle che non c'è verso: dentro momenti come questo bisogna cadere con le braccia, le gambe, il cuore, i polmoni. Tutto.
Bisogna andare in fondo, bisogna marcire.
Vorrei prometterle che non lo sa: ma arriverà il giorno in cui scoprirà di essere sopravvissuta. 
E vorrei anticiparle che non sarà una bella scoperta.

"La paura. La paura del margine di movimenti che ci rimane quando troviamo la felicità. A quel punto c'è solo da stare bene, no? e lui magari non è capace."
"Si spieghi meglio."
"Insomma: è stato proprio lui che mi ha aiutata a prendere fiducia in me stessa, che, più o meno consapevolmente, ha comunque domato le mie insicurezza, mi ha spinta a mandare a un editore il mio primo romanzo... E adesso non sopporterebbe la persona che , proprio grazie a lui, sono diventata? È un paradosso."
"Non è successo lo stesso, a lei, Chiara?"
"Io lo amo."
"Si domandi però se anche lei non ha fatto di tutto perché suo marito diventasse una persona che, da un certo punto in poi, ha cominciato a rifiutare. Un adulto, in definitiva. Amato, certo. Amatissimo. Ma che, in quanto adulto, le è sfuggito di mano. Fuori da Egoland è complicato riconoscere chi abitava nel nostro palazzo di un colore solo."
"Vero. Ma adesso vorrei che quei due adulti, in nome del loro Primario, come lo chiama lei, facessero amicizia. E che, crescendo o non crescendo, comunque invecchiassero insieme."
"Purtroppo e per fortuna, però, bisogna essere in due a voler essere in due, Chiara."

Evidentemente i posti, proprio come le persone, si accendono e rivelano di essere al mondo non solo perché c'è spazio, ma perché hanno un senso, solo quando siamo disponibili a capirlo. Quando abbiamo bisogno di loro. 

Mi incammino di nuovo verso casa.
Penso alle cene che Mio Marito improvvisava. Alle verdure grigliate di mia madre. A tutte le cose che gli altri fanno al posto nostro, per noi: dobbiamo essergliene grati? Ma certo. Anche se quelle stesse persone, mentre ci sollevano da un'incombenza, ci tolgono la possibilità di un'esperienza.
Colpa loro? A volte. Colpa nostra? Sempre.

Scegli: o dentro o fuori. Ma se stai sulla porta mi blocchi il traffico. 

È davvero perverso l'amore. 
Quando c'è, parli con una sola persona di tutte le altre.
Quando entra in crisi, parli con tutte le altre di una sola persona. 
L'unica con cui, a parlare, non riesci più.
E giorno dopo giorno ecco che non è più davvero una persona, quella persona: a forza di parlare di lei anziché viverla, diventa un puntino. Un ologramma. 
Qualcosa di indistinto, di ingannevole, di fatuo.

"Bisogna pur viverla, la vita," ha detto ieri. "Bisogna prendersi tutto quello che viene di buono, no? E se io non riesco ad amare un solo uomo per volta , che devo fare?, ammazzarmi?" 
Non ho idea di che cosa significhi.

Penso a come un distacco non segni per forza la fine di un'esperienza.
Anzi: può darle il permesso di durare per sempre.
E penso a quello che ho vissuto, a quello che vivrò, a quello che sto vivendo adesso. 
Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c'è una cosa, una soltanto, che non può venirci dietro, che non possiamo ingannare.
Questa cosa è il tempo.
Che è qualcosa di pochissimo, se siamo felici. 
Che è qualcosa di tantissimo, se siamo disperati. 
Comunque sta lì.
Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di dieci minuti a disposizione.
Abbiamo l'occasione di farci quello che ci pare, con la maggior parte di quei dieci minuti. 
Ma ci sono momenti in cui non riusciamo proprio a coglierla, l'occasione.
Ci sono momenti in cui, anzi, ci pare una disdetta.

Per quanto riguarda me, ogni tanto sono molto serena, ogni tanto molto triste.
Non ho ancora un nuovo amore, purtroppo.
Ma ripenso spesso all'esperimento di un anno fa.
E allora mi dico che, se nel mondo ci sono persone che suonano il violino, cambiano pannolini, girano video porno amatoriali, insegnano hip-hop, seminano e leggono Harry Potter, fra sette miliari ce ne sarà almeno una che stava aspettando proprio me, nei dieci minuti in cui io la incontrerò.


The LR Advice: un esperimento che sembrava filare liscio fino a metà, in modo quasi mistico, e poi è diventato confuso e frammentato e anche io ne ho perso le redini. Si può davvero scrivere una storia nella storia o è pura illusione? E se ci si potesse semplicemente riconoscere in una storia, intera o nei suoi pezzi? 
E se fosse semplicemente questo il segreto più grande di libri imperdibili come questo?


29 gennaio 2017

Storia di 3 libri: Montedidio, Atti osceni in luogo privato, Wild



3 libri che mi hanno accompagnata giù, sempre più giù, nel corso di questo lunghissimo autunno e condotta passo dopo passo in un inverno cristallizzato dal freddo ma non per questo immobile.

3 libri prestati o regalati da 3 persone: c'è chi ha voluto farmi conoscere qualcosa di nuovo, chi ha voluto farmi provare qualcosa di diverso e chi ha voluto farmi trovare me stessa.

Questa non sarà una recensione, questi libri sono troppo diversi dall'intimità di questo luogo, troppo potenti per trovare veramente il modo per essere accolti qui, ma un cammino attraverso le citazioni dei passi che mi hanno toccata, tormentata e aperto gli occhi di più, raccolti attraverso l'urgenza di foto scattate col telefono a letto, su un aereo, ovunque. Sola.


"Montedidio" di Erri De Luca

Parlo con Rafaniello, oggi abbiamo tempo, non vi viene la mancanza del paese vostro, chiedo. Il suo paese non c'è più, non ci sono rimasti i vivi e neppure i morti, li hanno fatti sparire tutt'insieme: "Non sento la mancanza, dice, sento la presenza. Nei pensieri o quando canto, quando aggiusto una scarpa, sento la presenza del mio paese. Mi viene a trovare spesso, ora che non ha più un posto suo. Dentro la chiamata dell'acquaiuolo che sale col carretto sopra Montedidio, a vendere l'acqua zurfegna, solforosa nelle terrecotte, pure dalla sua voce mi arriva qualche sillaba del paese mio". Se ne sta zitto per un poco coi chiodini in bocca e la testa china sopra a una suola. Vede che sono rimasto vicino e continua: "Quando ti viene una nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita arrivano persone, paesei, da lontano e ti tengono un poco di compagnia". Allora don Rafanié, le volte che mi viene il pensiero di una mancanza la devo chiamare presenza?" "Giusto, così a ogni mancanza dai il benvenuto, le fai un'accoglienza". Così quando sarete volato io non devo sentire la mancanza vostra? "No, dice, quando ti viene di pensare a me io sono presente". Scrivo sul rotolo le parole di Rafaniello che hanno rivoltato la mancanza sottosopra e ora sta meglio così. Lui fa coi pensieri come con le scarpe, le mette capovolte sul bancariello e le aggiusta.


"Atti osceni in luogo privato" di Marco Missiroli

Affidai il mio approdo karmico ai piedi. Mi misi in cammino anche la sera prima di iniziare allo studio legale. Mi mossi tra le vie nascoste del mio quartiere fino al parco Ravizza, un quadrato di erba spelacchiata strozzato dal cemento. Mi sedetti su una panchina, c'era un vecchio con un alano pigro, indossai il walkman e mi rialzai, feci il giro del parco undici volte. Avevo il problema del sovraccarico. La vigilia della partenza, Marie mi aveva fatto leggere un articolo sulle brusche interruzioni: un cervello abituato a produrre endorfine e dopamina con regolarità si sarebbe trovato nei guai se da un giorno all'altro avesse invertito questa tendenza. Stare insieme a Lunette equivaleva a un organismo tempestato di sostanze del benessere, il suo abbandono improvviso aveva portato una carenza chimica e un ristagno energetico. L'unico modo era trovare una fuoriuscita: lo sport (illusione da sempre), l'aggressività (irresolutezza da sempre), il cibo, le droghe, il sonno e il sesso. Dormivo cinque ore a notte, mangiavo una miseria, detestavo perdere il controllo, mancavo di erezioni: rimanevano le lacrime e il conatus sese conservandi spinoziano su cui il professor Balois mi aveva interrogato nell'ultimo esame sostenuto alla Sorbona. L'istinto di conservazione, quel miserabile barlume che sradica il destino quando lo crediamo irreversibile. Si palesa quatto, infimo, decisivo.

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Dovette perderla Mario per averla io. Dal mio ritorno parigino mi ostinai a proteggere la nostra amicizia con l'aiuto di Giorgio, che mi seguì in questa liturgia del rispetto. Zigzagava tra i tavoli dell'osteria e ripeteva la formula della resistenza che gli avevo fatto leggere in una lettera di Antoine: Y = (C x SC) + D, ovvero: la resistenza alla tentazione (Y) era il risultato della costanza (C) moltiplicata per un ipotetico senso di colpa (SC) più una serie di distrazioni (D) che andavano dosate al momento giusto.


"Wild" di Cheryl Strayed

When i woke the next morning in my room at White's Motel, I showered and stood naked in front of the mirror, watch myself solemnly brush my teeth. I tried to feel something like excitement but came up only with a morose unease. Every now and then I could see myself - truly see myself - and a sentence would come to me, thundering like a god into my head, and as I saw myself then in front of that tarnished mirror what came was the woman with the hole in the heart. That was me. That was why I'd longed for a companion the night before. That was why I was here, naked in a motel, with this preposterous idea of hiking alone for three months on the PCT. I set my toothbrush down, then leaned into the mirror and stared into my own eyes. I could feel myself disintegrating inside myself like a past-bloom flower in the wind. Every time I moved a muscle, another petal of me blew away. Please, I thought. Please.

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"I want to walk a bit farther, if you don't mind," I said, leaving my sandals near the blanket. It felt good to be alone, the wind in my hair, the sand soothing my feet. As I walked, I collected pretty rocks that I wouldn't be able to take with me. When I'd gone so far that I couldn't make out Jonathan in the distance, I bent and wrote Paul's name in the sand.
I'd done that so many times before, I'd done it for years - every time I visited a beach after I fell in love with Paul when I was nineteen, whether we were together or not. But as I wrote his name now, I knew I was doing it for the last time. I didn't want to hurt for him anymore, to wonder whether in leaving him I'd made e mistake, to torment myself with all the ways I'd wronged him. What if I forgave myself? I thought. What if I forgave myself even though I'd done something I shouldn't have? What if I was a liar and a cheat and there was no excuse for what I'd done other than because it was what I wanted and needed to do? What if I was sorry, but if I could go back in time I wouldn't do anything differently than I had done? What if I actually wanted to fuck every one of those men? What if heroin taught me something? What if yes was the right answer instead of no? What if what made me do all those things everyone thought I shouldn't have done was what also had got me here? What if I was never redeemed? What if I already was?

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I looked north, in its direction - the very thought of that bridge a beacon to me. I looked south, to where I'd been, to the wold land that had schooled and scorched me, and considered my options. There was only one, I knew. There was always only one.
To keep walking.


The LR advice: questi libri non si consigliano, fanno parte di un percorso, bisogna solo capire se è il vostro. Questi libri non si recensionano, li sminuirebbe, in particolare l'ultimo che per me è stato un ritorno a casa. No, di questi libri non si parla, si lascia all'intimità la comprensione delle citazioni. Per questi libri si ringrazia, e basta.

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